Viaggio nel Medievo, a Sale la chiesa di Santa Maria e San Siro

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di Chiara Parente

Il borgo fluviale di Sale (Alessandria), sviluppatosi sulle sabbie alluvionali alla confluenza del Tanaro con il
Po, conserva la bella chiesa di Santa Maria e San Siro – Santuario della Madonna della Guardia- che, grazie a un recente restauro e a un approfondito studio storico-artistico, ha riacquistato l’originaria immagine di
edificio cultuale di confine in senso temporale e geografico.
Infatti l’analisi degli elementi costitutivi della chiesa, innalzata tra la fine del ‘300 e gli inizi del ‘400 forse su un precedente tempietto già citato nel 1165, ne colloca la costruzione tra due grandi stagioni dell’architettura,ovvero tra Romanico che lentamente tramonta e Gotico che sta nascendo.
Invece la posizione geografica dell’abitato, al limite dei due territori, oggi individuabili nell’area piemontese e in quella lombarda, e la subordinazione della chiesa alla diocesi di Pavia dal 1217 al 1805, ne hanno profondamente influenzato lo stile architettonico, in cui emergono evidenti riferimenti all’ambito gotico-lombardo e, in particolare, ad alcune strutture religiose della Lomellina.
Tratto distintivo dell’edificio, classificato nel 1908 come insigne monumento dalla Regia Soprintendenza, è
la facciata, decorata da meravigliose terrecotte.
Preziose testimonianze dell’originario apparato decorativo, esse si ispirano a forme geometriche e vegetali.
I piccoli fiori quadripetali, le crocette, i minuti dischi incisi en creux che tanto evocano l’intaglio ligneo,
richiamano la stagione più “primitiva” della terracotta lavorata in funzione dell’architettura, con rimandi a
una vastissima casistica di ornato fittile collegata alle strutture dei Cistercensi e alla realtà urbana degli
Umiliati e dei Mendicanti.
Inoltre la configurazione, la tecnica ancora piuttosto basica, le integrazioni pittoriche in rosso vinoso
affioranti a sprazzi dai decori indirizzano verso la fase iniziale della tipologia lomellina, in sensibile anticipo rispetto alle soluzioni di facciata della chiesa dei Santi Nazario e Celso a San Nazzaro Sesia, ma anche rispetto alle tipologie di stampi rinnovati, associati alle piccole gáble dei territori tra Piemonte e Lombardia.
Modelli di riferimento, definiti e rafforzati dalla stessa chiesa salese, sono le chiese abbaziali dei Santi
Nazario e Celso a San Nazzaro Sesia e di San Pietro a Viboldone, i cui stilemi sono riferibili all’architettura
religiosa visconteo-sforzesca in laterizio.
Quest’ultima, diffusa nella Lomellina, nel Pavese e nelle province orientali del Piemonte, politicamente
lombarde o gravitanti culturalmente sulla Lombardia, ha origine dalle anticipazioni romaniche del XII secolo che, rintracciabili nelle antiche diocesi di Milano, Pavia e Novara, nel tardo Trecento e nel Quattrocento si formalizzano nella tipologia delle chiese “a sala” in cotto.
L’architetto itinerante Bartolino da Novara e lo scultore Bernardo da Venezia sono tra gli artefici principali
di questo iter progettuale. L’interpretazione e le varianti dei prototipi però, come è naturale, competono a una serie di professionisti e di maestranze rimaste per lo più anonime.
Tale è al momento il caso della suggestiva chiesa di Santa Maria e San Siro, caratterizzata da un disegno
complessivo di origine gotico-romanica, in cui si avvertono accenti protorinascimentali d’influenza

lombarda.
Nella metà del ‘400 l’ampio spazio interno della chiesa presentava numerosi altari, incorniciati da una
sequenza di affreschi lungo le pareti delle navate laterali, del presbiterio e delle cappelle absidali.
Ancor oggi nella navata laterale sinistra si possono ammirare brani di un ciclo a fresco dedicato alla morte di Cristo. Le scene, databili tra la fine del ‘400 e il primo ‘500, sono inquadrate da cornici dipinte e illustrano la Crocifissione e la Deposizione di Gesù.
Accanto a questi affreschi cattura l’attenzione dei visitatori un’opera più tarda, che rappresenta l’incontro tra la Vergine e sant’Elisabetta, con i rispettivi neonati Gesù e Giovannino. Le due donne sono sedute in una stanza sullo sfondo della quale, attraverso una porta, si intravede un’altra stanza, riscaldata da un caminetto.
L’attento e inusuale rigore prospettico e la presenza del camino portano a supporre legami e aggiornamenti con la cultura tedesco-fiamminga che, ancora inspiegabili e unici nella zona, suscitano notevole interesse.
L’area presbiteriale è la più ricca di testimonianze della decorazione quattrocentesca.
La composizione iconografica, molto simile a quella dell’abbazia di Viboldone, immersa nelle campagne a
sud di Milano, è introdotta da un arco trionfale che riporta nell’intradosso i busti di undici profeti con i nomi inscritti nei cartigli che li avvolgono. Occupa la volta un grande affresco, quadripartito dalle nervature dei quattro spicchi, con le figure degli Evangelisti, seduti sugli scranni, e a fianco i loro simboli.
A chi è attratto dalle reliquie la navata destra della chiesa di Santa Maria riserva un curioso reperto: il calco del piede di Gesù. L’immagine, impressa su di un marmo bianco, reca come unica indicazione la scritta: “
Questa è la misura del piede del Signore posta nel Monte Oliveto, ove ha molta indulgenza. Questo
manufatto è stato opera di Lazarino De Boeri”.
E’ possibile ipotizzare che il nobile salese Lazzaro Boveri abbia portato con sé la riproduzione del piede di
Cristo di ritorno da un pellegrinaggio a Gerusalemme. Certo è che le impronte di Cristo sono piuttosto rare.
A Gerusalemme sono custodite nella chiesa dell’Ascensione. Invece In Italia simili oggetti di devozione, che riprendono l’antica tradizione religiosa del vestigium pedis, sono conservati solo a Roma nella Basilica di San Sebastiano, traslati dalla chiesa Domine Quo Vadis, e a Milano nella chiesa di San Tomaso in
Terramara.