Non solo calcio …. di Guido Michelone 2
di Guido Michelone
Quando nel calcio viene citata la parola ‘balletto’ il pensiero va subito alle danze tribali che il
singolo giocatore effettua dopo la segnatura di bel goal, coinvolgendo magari, in queste scene di
giubilo, allegria, tripudio, anche qualche compagno di squadra per dar vita a un’estemporanea
coreografia da rito pagano d’epoca però postmoderna. Il balletto, comunque, nella storia della
cultura resta qualcosa di serio che occupa un posto di rilievo nella musica classica occidentale. E
allora che c’azzecca il calcio con il balletto?
C’azzecca un solo capolavoro, ma occorre aspettare il 1930 con il grande compositore russo
Dmitri Shostakovich: nonostante il tumultuoso rapporto con il regime stalinista, egli è comunque un
fan genuino del calcio sovietico, al punto che ne parla, da cronista, su alcuni giornali di Leningrado
e che ne diventa persino un arbitro ufficiale. L’amore per la Nazionale dell’URSS gli ispira appunto
la partitura de L’età dell’oro (in russo Золотой век, Zolotoi vek, ma nota soprattutto nell’inglese
The Golden Age).
L’età dell’oro Op. 22, è dunque un balletto in tre atti e sei scene su un libretto di Aleksandr
Ivanovskij. Coreografato da Vasilij Ivanovič Vajnonen (primo atto), Leonid Veniaminovič Âkobson
(secondo) e Vasílij Ivánovič Vajnónen (terzo) viene messo in scena per la prima volta il 26 ottobre
1930 al Teatro Kirov (oggi Mariinskij) di Leningrado (ora San Pietroburgo). Il lavoro viene
replicato solo diciotto volte, per essere poi censurato, reo di inserire troppi stili di danza moderna
europea.
A livello di contenuti, il balletto risulta una versione satirica dei mutamenti politico-culturali
nell’Europa degli anni Venti novecenteschi: c’è una squadra sovietica in un’innominata città
occidentale dove i calciatori entrano in contatto con molti cattivi personaggi, che appaiono
‘politicamente scorrettissimi’ dalla Diva al Fascista, dal Negro all’Agente Provocatore. La
compagine doppiamente cade vittima sia di accuse per truffe e per molestie alla polizia sia di un
ingiusto arresto da parte della malvagia borghesia. La formazione è liberata dalla prigione quando
gli operai locali sconfiggono i loro padroni capitalisti. E il balletto termina con una danza di
riconoscenza, amore, solidarietà tra i lavoratori e i calciatori. All’epoca si mormora che
Shostakovich medesimo, da buon tifoso e fine appassionato seguace, riesca inventare l’espressione
‘Il calcio è il balletto delle masse’.
Dopo un lungo oblio, coincidente con le regole repressive del realismo zdanoviano, nel 1982
Jurij Grigorovič e Isaak Glikman ripresentano il balletto con un nuovo libretto, scegliendo altresì di
integrare altre opere di Šostakovič nella partitura originaria. Nel 1983 viene quindi ideata la nuova
versione de L’età dell’oro per il ballerino Irek Mukhamedov, il quale immagina il ruolo di Boris
(leader dei giovani lavoratori) quale archetipo per le successive generazioni di danzatori del Bol’šoj.
Viene quindi spostata l’azione nell’URSS degli anni Venti presso un ristorante chiamato L’età
dell’oro, sviluppando un conflitto tra il Soviet Komsomol e la squadra: la prima avviene il 4
novembre 1982 ovviamente al Teatro Bol’šoj.
Ancora nel 2006 il drammaturgo Konstantin Uchitel scrive un terzo libretto per la stessa musica,
ambientando la vicenda nell’epoca attuale, nel momento in cui i due vecchi protagonisti si
incontrano per ricordare la loro giovinezza: première il 28 giugno 2006 al Teatro Mariinskij di San
Pietroburgo. A tutt’oggi, però, gli storici della musica ancora s’interrogano su quale messaggio
finale Shostakovich stia cercando di lanciare nella prima versione, date le frequenti oscillazioni tra
satira e propaganda, ferma restando l’innata passione dell’autore per il football, immaginato forse
quale mezzo non per dividere ma per unire l’intera umanità.