Il taglio dei fondi per la viabilità in realtà è un affondo alla sopravvivenza delle Province

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di Massimo Iaretti

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Il recente taglio del 70% dei fondi per la manutenzione straordinaria della viabilità provinciale e delle città metropolitana, da parte del Ministero delle Infrastrutture – come segnalato dall’UPI e da diverse forze politiche – oltre ad uno scollamento sempre maggiore tra Paese reale e Palazzo, porta con sé una ulteriore conseguenza. Fa, infatti, suonare a morte per le Province, ovvero una di quelle realtà istituzionali sulle quali l’Italia si appoggia sin dalla sua nascita. Allo stato delle cose attuale, la Provincia, dopo il fortissimo ridimensionamento degli anni Dieci, ha due competenze principali: la viabilità delle strade provinciali e l’edilizia scolastica. Tagliarne i fondi – e di conseguenza rinviare sine die o azzerare totalmente interventi indifferibili per lo stato delle strade con l’incremento della sicurezza per gli utenti – vuole dire non soltanto quasi azzerare la sua capacità in questo settore, ma anche farne venire meno la ragione di esistere, ragione  che invece sta nella caratteristica di ente intermedio che le Province hanno, la cui esistenza è sacralizzata dalla Carta Costituzionale e ribadita dalla riforma del Titolo V con la Legge Costituzionale 3/2001. Le Province prima della ‘riforma’ (pessima) erano un ente democratico con l’elezione diretta del Presidente  e dei consiglieri, oggi sono invece ridotti ad enti di secondo grado , con minori collegamenti tra i cittadini e coloro che dovrebbero rappresentarli, La vari autorità d’ambito, aree omogenee, etc. tutti organismi di secondo grado, non hanno lo stesso grado di democraticità e di trasparenza assicurati da un organo elettivo dove l’Amministrazione, di qualsiasi colore, se abbia governato bene o male, lo indica il responso delle urne. Per chi ha cuore temi come decentramento, autonomia, federalismo, attuati con una effettiva attribuzione di competenze vari livelli, accompagnata da risorse effettive e tali da consentire lo svolgimento delle varie funzioni, balza agli occhi la grande occasione che la politica sta nuovamente perdendo, decidendo di non decidere e mantenendo uno status quo che tutti, ma proprio tutti, giudicano inadeguato. In questo modo si legittima il detto che ‘In Italia non c’è niente di più definitivo del provvisorio. E poi ogni volta ci si stupisce della progressiva disaffezione al voto. C’è poi da stupirsi da un altissimo esponente governativo, a capo di un partito erede di tante istanze autonomiste e federaliste che, se fossero state effettivamente poste in essere avrebbero evitato di arrivare a questo punto. La strada, lo si ribadisce, è quella di rivitalizzare le Province con l’elezione  diretta e poi di andar a dare ad ogni ente le proprie competenze effettive e non ritagliabili, dando allo Stato quel che è dello Stato , alle Regioni quel che è delle Regioni  e via discorrendo. E dando a Comuni e Province (con un ritorno alle Comunità Montane ed un rafforzamento delle strutture delle Unioni di Comuni) competenze e compiti gestionali che consentano il reale e corretto svolgimento delle loro funzioni. Senza tutto questo due saranno i risultati: creare aria fritta nuovamente e un sempre maggiore scollamento con le periferie.