Gigi Proietti: 5 anni dalla scomparsa del grande mattatore romano
di Nico Colani

Il 2 novembre 2025 segna un anniversario doloroso e struggente: sono passati cinque anni dalla morte di Gigi Proietti, l’indimenticabile artista romano che ha incantato generazioni con la sua voce tonante, il suo umorismo corrosivo e un carisma che sembrava uscito da un copione di Petrolini. Nato proprio in questo giorno del 1940, Gigi se n’è andato all’alba del suo ottantesimo compleanno, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore di Roma e dell’Italia intera. Ancora oggi, come testimoniato da tanti fan che ogni anno visitano la sua tomba al Cimitero del Verano – un luogo che profuma di memorie e di “core de Roma” – Proietti è ricordato non solo come un genio dello spettacolo, ma come un “vecchio caro amico”, capace di strappare una risata o una riflessione profonda con un semplice sguardo o una battuta. In questo articolo, ripercorriamo la sua vita straordinaria, dai primi passi nella Capitale eterna fino agli ultimi atti di una carriera poliedrica, arricchita da curiosità e omaggi che, anche nel 2025, tengono vivo il suo spirito.
La giovinezza: un ragazzo di Trastevere con il pallino del palcoscenico
Luigi Proietti, noto a tutti come Gigi, nacque il 2 novembre 1940 in una traversa di via Giulia, a Roma, in un quartiere intriso di storia e di umiltà: San Giovanni, non lontano dal cuore pulsante della città. Figlio di Ines, casalinga, e di Aldo, custode notturno della Galleria Colonna, Gigi crebbe in un ambiente modesto ma vivace, tra le strade affollate della Capitale durante la Seconda Guerra Mondiale. La sua infanzia fu segnata dai bombardamenti e dalle privazioni, ma anche da una passione precoce per la musica e il canto: fin da piccolo, strimpellava la chitarra e imitava i cantanti radiofonici, sognando un futuro lontano dai banchi di scuola. Frequentò il liceo classico Giulio Cesare, dove eccelleva in latino e greco, e si iscrisse poi a Giurisprudenza alla Sapienza. Ma il teatro, quel richiamo irresistibile, lo travolse presto: a vent’anni, abbandonò gli esami per un’audizione che avrebbe cambiato tutto. “La legge è una cosa seria, ma il palcoscenico è la mia legge”, dirà anni dopo, con quel sorriso sornione che lo rendeva irresistibile.
L’approdo al mondo dello spettacolo: dal cabaret al tempio del teatro
L’ingresso di Gigi nel mondo dello spettacolo fu un’esplosione di energia romana. Negli anni ’60, Roma brulicava di cantine e locali underground: fu al Folkstudio, il tempio del cabaret romano, che Proietti fece il suo debutto nel 1963, con un one-man-show che mescolava canzoni, monologhi e imitazioni. La sua voce baritonale e il timbro inconfondibile – un misto di dialetto romanesco e eleganza shakespeariana – lo portarono presto sotto i riflettori dei grandi maestri. Nel 1964, Pietro Garinei e Sandro Giovannini lo notarono e lo vollero ne “A me la morte sì”, un varietà che lo consacrò come cabarettista geniale. Da lì, il salto al teatro puro: Proietti divenne il re della prosa musicale italiana, dirigendo e interpretando spettacoli che fondevano comicità, dramma e canzone. Fu insegnante all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico dal 1977, formando generazioni di attori con il suo metodo eclettico: “Il teatro è vita, non un mestiere”, ripeteva ai suoi allievi, tra cui Flavio Insinna e Gabriele Cirilli, che oggi lo omaggiano con commozione.
I migliori successi teatrali: un mattatore tra Shakespeare e il dialetto
Il teatro fu il regno di Proietti, dove il suo talento esplose in una miriade di ruoli. Tra i trionfi, “Al Savoy” (1979), un omaggio al music-hall londinese che lo vide cantare e ballare come un uragano; “C’era una volta il West Side Story” (1980), parodia geniale del musical di Bernstein; e “La commedia degli errori” di Shakespeare (1988), diretto da lui stesso con un tocco romanesco irresistibile. Ma il capolavoro assoluto fu “A me la morte sì” (1967), che lo lanciò come autore e interprete, e “Buffa opera” (1990), un’antologia di arie buffe che riempì teatri per anni. Proietti non era solo attore: era regista, musicista, scenografo. I suoi spettacoli, spesso al Brancaccio o all’Olimpico, erano eventi collettivi, con il pubblico che rideva fino alle lacrime e applaudiva in piedi. “Il teatro è un abbraccio”, diceva, e lo dimostrava con repliche da record.
Al cinema: l’uomo qualunque che rubava la scena
Se il teatro era la sua casa, il cinema lo rese icona popolare. Debuttò nel 1968 con “Amore mio aiutami” di Alberto Sordi, ma fu negli anni ’70 che arrivarono i capolavori: “Febbre da cavallo” (1976), dove interpretò il leggendario Mandrake, con la battuta “È una stravaganza… ma è così!” che entrò nel mito; “Brutti, sporchi e cattivi” (1976) di Ettore Scola, al fianco di Nino Manfredi; e “La Tosca” (1973), drammone pasoliniano con Monica Vitti che gli valse un David di Donatello. Negli anni ’80 e ’90, brillò in “Un professore a metà” (1993) e “Il ciclone” (1996) di Leonardo Pieraccioni, passando dal dramma alla commedia con disinvoltura. Oltre 50 film, più le voci: doppiò Timon ne “Il Re Leone” e Figaro in “Le avventure di Pinocchio” di Comencini, regalando a generazioni di bambini un accento romano che scalda il cuore.
La vita sentimentale: un amore solido e una famiglia “proiettiana”
Dietro la maschera del mattatore, Gigi era un uomo di famiglia, ancorato a valori semplici. Nel 1967 sposò Sagitta Alterini, costumista e compagna di una vita, conosciuta durante le prove teatrali. Insieme, ebbero due figlie: Carlotta (nata nel 1969), attrice e costumista che ha spesso collaborato con il padre, e Susanna (1977), anch’essa nel mondo dello spettacolo. La casa romana dei Proietti, un nido accogliente tra libri e vinili, era il rifugio dove Gigi tornava dopo le tournee, circondato da nipoti che lo chiamavano “nonno mattatore”. “L’amore è come una replica: non finisce mai se lo curi”, confidava in interviste, celebrando un’unione durata oltre mezzo secolo. Sagitta, al suo fianco fino all’ultimo, ha preservato la memoria del marito con discrezione, rifiutando riflettori eccessivi.
La persona in pubblico: un “amico” che conquistava tutti
Gigi Proietti non era un divo distante: era l’uomo della piazza, quello che firmava autografi con una barzelletta e salutava i passanti con un “E mo’ che fai?”. In pubblico, incarnava la romanità generosa: ironico e autoironico, impegnato socialmente senza mai calcare la mano. Sostenitore del teatro per tutti, fondò il Teatro Romano di Villa Torlonia e insegnò a centinaia di ragazzi, trasmettendo non solo tecnica ma passione. Il rapporto con i fan era magico: ai firmacopie, raccontava aneddoti infiniti; in TV, con “Fantastico” o “Alle sette la sera”, era il conduttore che faceva sentire lo spettatore a casa. “La gente è il mio copione migliore”, diceva, e lo provava con gesti come le lezioni gratuite per i giovani talenti. Anche sui social, post mortem, i fan lo evocano con tenerezza: “Core de Roma”, come in un recente tributo su X che lo celebra a ogni compleanno.
La scomparsa: un addio improvviso e straziante
Il 2 novembre 2020, Gigi si spense all’Ospedale Spallanzani di Roma, dove era ricoverato da fine ottobre per complicazioni da Covid-19, ma la causa diretta fu un attacco cardiaco. Aveva compiuto 80 anni quel giorno, ignaro del destino. La notizia scioccò l’Italia: funerali solenni alla Basilica di Santa Maria in Ara Coeli, con migliaia di persone che intonarono “Roma de Roma”. Roma dichiarò lutto cittadino, e il suo corpo fu sepolto al Verano, accanto ai grandi della città eterna. Sagitta e le figlie, straziate, parlarono di un uomo che “ha vissuto intensamente ogni atto”.
Curiosità, aneddoti e omaggi: Gigi vive nei ricordi
Non potevo tralasciare le chicche che rendono Proietti immortale. Curiosità: collezionava cappelli (ne aveva oltre 200) e barzellette (ne raccontava 365, una al giorno); fu il primo a portare il rap italiano in teatro con “Rapsodia” (1995); e la sua voce narrò documentari Rai per decenni. Un aneddoto? Durante le prove di “Febbre da cavallo”, improvvisò la scena del cavallo con una sedia, salvando una giornata di riprese.
Nel 2025, gli omaggi fioccano: il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto ha dedicato un incontro il 30 ottobre, con attori che rileggono i suoi monologhi; a Terni, un festival al PalaSì mescola letteratura e cinema in suo onore dal 31 ottobre; la Rai ha mandato in onda un tributo con estratti da “Tosca”, proprio in occasione dell’anniversario; e a Lanuvio, “Montegigi” celebra con teatro e cena biodinamica. Su X, fan come @Tizianasimplyme lo definiscono “amore infinito”, postando foto e ricordi che scaldano l’anima. Non dimentichiamo il suo lascito: la Fondazione Gigi Proietti, che sostiene giovani artisti.
Gigi Proietti non è svanito: è nel vento di Trastevere, nelle risate dei teatri, nei cuori di chi lo ama. Cinque anni dopo, Roma – e l’Italia – gli sussurrano: “Eravamo, semo e saremo sempre tuoi”. Grazie, mattatore. Core de nonno.








