In un autunno milanese che si tinge di malinconia, l’Italia della satira perde uno dei suoi pilastri. Giorgio Forattini, il “re indiscusso” delle vignette politiche, ci ha lasciato il 4 novembre 2025 all’età di 94 anni. Nato a Roma il 14 marzo 1931, Forattini ha chiuso gli occhi nella città che aveva eletto come seconda patria, lasciando un vuoto incolmabile nel panorama giornalistico e artistico del Paese. La causa della sua scomparsa non è stata resa nota pubblicamente, ma il suo addio arriva dopo una vita spesa a osservare, commentare e castigare con ironia i vizi e le virtù della politica italiana. Con oltre 14.000 vignette all’attivo, Forattini non era solo un disegnatore: era un cronista visivo, un moralista armato di matita, che ha trasformato la satira in un’arma affilata e, al tempo stesso, liberatoria.
Gli Inizi: Da Roma all’Accademia della Vita
Giorgio Forattini nacque in una Roma ancora segnata dal fascismo morente, in una famiglia borghese che gli instillò fin da piccolo il gusto per l’osservazione ironica del mondo. Dopo il liceo classico, si immerse in un biennio di studi all’Università La Sapienza, tra le aule di architettura, per poi deviare verso l’Accademia di Teatro, dove il disegno e la recitazione si intrecciarono nei suoi primi schizzi umoristici. Ma la vita lo spinse presto verso professioni più prosaiche: negli anni ’50, Forattini si guadagnò da vivere come agente di vendita per compagnie petrolifere a Napoli, manager di dischi a Roma e, più tardi, rappresentante di elettrodomestici. Erano anni di gavetta, in cui il futuro maestro della matita affinava il suo occhio critico non sui palcoscenici, ma tra i banconi dei negozi e le conversazioni da caffè, assorbendo i tic e le ipocrisie della società italiana del boom economico.
Fu solo nel 1971 che la scintilla artistica divampò davvero. Forattini partecipò a un concorso indetto dal quotidiano “Paese Sera”, un foglio di orientamento comunista che cercava talenti freschi per le sue pagine. Vinse, e con quel premio iniziò una collaborazione che lo lanciò nel mondo della vignetta professionale. Due anni dopo, nel 1973, entrò nel team di “la Repubblica”, il quotidiano che Eugenio Scalfari stava plasmando come baluardo del giornalismo progressista. Qui, Forattini trovò la sua casa: cofondò il supplemento satirico “Satyricon” nel 1978, un’oasi di umorismo nero in cui la politica si svestiva delle sue pompose retoriche.
Vignetta di Giorgio Forattini, Riprodotta a fini di commento e critica, ai sensi dell’art. 70 della Legge 633/1941.
Una Carriera Lungo Cinquant’anni: Collaborazioni e Battaglie Quotidiane
La traiettoria di Forattini fu un susseguirsi di alleanze con i giganti del giornalismo italiano, sempre al servizio di una satira trasversale che non risparmiava né destra né sinistra. Dal 1973 al 1984, le sue vignette ornarono “Panorama”, il settimanale di Mondadori, dove affinò uno stile minimalista e tagliente, capace di sintetizzare un editoriale in un solo frame. Nel 1984 tornò a “la Repubblica”, dove per sedici anni firmò una vignetta al giorno in prima pagina – un record di costanza che lo rese un appuntamento imprescindibile per i lettori italiani.
Le collaborazioni non si fermarono lì. Tra il 1984 e il 1991, Forattini prestò la sua matita a “L’Espresso”, il magazine diretto da Giovanni Valentini, per poi tornare brevemente a “Panorama”. Negli anni 2000, si aprì a nuovi orizzonti: dal 2006 al 2008 disegnò per “Il Giornale” di Milano, e successivamente per i “Quotidiani Nazionali” (QN), inclusi “Il Giorno”, “La Nazione” e “Il Resto del Carlino”. Queste partnership lo portarono a incrociare spade con direttori come Scalfari, Montanelli e Feltri, ma sempre con la libertà di un artista indipendente. Forattini non era un militante: la sua satira era un bisturi, non una clava partigiana. “In Italia non c’è un regime, ma una sinistra che querela la satira”, diceva spesso, lamentando gli attacchi subiti solo da un lato dello spettro politico.
I Lavori: Un Catalogo di Ironia e Oltre Tre Milioni di Copie
Con sessanta libri pubblicati e più di tre milioni di copie vendute, Forattini ha lasciato un’eredità cartacea imponente. Tra i suoi volumi spiccano raccolte come “Vignette Sataniche”, un omaggio al suo spirito diabolico e provocatorio; “Guai ai Vincitori”, che ironizzava sulle illusioni del potere; “Papatràc”, un’esplosione di nonsense politico; e “Napoleoniano”, in cui il Papa emergeva come un imperatore in tonaca. Altre perle includono “Fateci la Carità”, “Viva l’Itaglia”, “Eurodeliri” e “Siamo Uomini o Giornalisti?”, titoli che catturano l’essenza della sua critica sociale.
Le sue vignette migliori? Quelle che hanno segnato epoche. La più iconica rimane quella del 1974, nata dopo la vittoria del “no” al referendum sul divorzio: un Amintore Fanfani, leader democristiano, raffigurato come un tappo di bottiglia – basso, tozzo e incapace di stappare il progresso sociale. Fu la sua prima grande hit, disegnata con una bottiglia di champagne che gli ispirò la forma grottesca del politico. Altre indimenticabili: le caricature di Berlusconi in mutande da calciatore, un omaggio irriverente al Cavaliere che non valicò mai i confini del cattivo gusto; o le sequenze su Tangentopoli, dove i “mariuoli” della Prima Repubblica finivano in un carosello di assurdità burocratiche. Forattini eccelleva nel ritrarre leader come un circo di pagliacci: Craxi con il suo ghigno da venditore di tappeti, Andreotti come un imperatore in crisi, o Prodi come un professore distratto. Il suo stile? Linee essenziali, espressioni esagerate, ma sempre con un fondo di empatia umana – perché, come diceva lui, “la satira deve essere soprattutto un grande divertimento per chi la fa”.
Vignetta di Giorgio Forattini, (1974) Riprodotta a fini di commento e critica, ai sensi dell’art. 70 della Legge 633/1941.
Aneddoti: La Matita come Spada e Come Specchio
Forattini era un uomo di aneddoti, capace di trasformare la vita quotidiana in leggenda. Uno dei più celebri risale al 2009, quando donò il suo archivio di migliaia di disegni al Comune di Milano: tra le chicche, una vignetta in cui si ritraeva autosatiricamente come Napoleone, riflesso in uno specchio deformante – un manifesto della libertà di satira contro ogni autocensura. Un altro episodio lo vide protagonista con Silvio Berlusconi: dopo averlo immortalato in mutande da calciatore di Andreotti, si aspettava rimproveri dal premier. Invece, arrivò solo silenzio – “Mai un rimprovero da lui”, confessò Forattini, ridendo della tolleranza selettiva del potere.
Non mancavano tocchi romantici: “Ho fatto satira, ma sono un romantico alla Jacopo Ortis”, ammetteva, evocando il Werther byroniano per descrivere il suo animo sensibile sotto la corazza ironica. E poi c’era l’aneddoto della prima vignetta su “Repubblica”: nata da una bottiglia di champagne rovesciata, che gli suggerì la forma del “tappo-Fanfani”. Un incidente domestico che cambiò la storia della satira italiana. Forattini subì anche denunce – quasi sempre dalla sinistra, come denunciava lui stesso – ma le trasformava in medaglie: “Per le mie vignette, assalti solo da sinistra”, ironizzava.
L’Eredità: Un’Italia Vista dalla Matita
Giorgio Forattini non ha solo disegnato vignette: ha mappato l’anima dell’Italia repubblicana, dai referendum degli anni ’70 alle bufere della Seconda Repubblica. I suoi funerali si terranno il 6 novembre 2025 nella chiesa di Santa Francesca Romana a Milano, con le ceneri destinate al cimitero di Monte Porzio Catone, sui colli romani che lo videro nascere. Oggi, mentre sfogliamo i suoi libri o scorriamo archivi digitali, ci rendiamo conto che Forattini ci ha insegnato a ridere dei potenti per non piangere di noi stessi. In un’epoca di meme effimeri, la sua matita resta un faro: tagliente, eterna, libera. Addio, maestro. L’Italia che hai castigato ti deve un sorriso.
Foto di Giorgio Forattini, Riprodotta a fini di commento e critica, ai sensi dell’art. 70 della Legge 633/1941.
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